CLAUSTROMANIA
Scultura contemporanea nel chiostro di Sant’Alessio

Opere di Riccardo Monachesi, Mara van Wees, Ninì Santoro, Giovanna Martinelli
A cura di Daniela Gallavotti Cavallero
Organizzazione di Letizia Lanzetta

Un progetto di Daniela Gallavotti Cavallero e Mara van Wees

Promosso da Istituto Nazionale di Studi Romani, Associazione Amici dell’Aventino

Dal 16 al 29 ottobre 2019
Orari: lun, mar, giov, ven 9-14, merc 9-17;
19 ottobre 9-12; 23 ottobre 17-20; 29 ottobre 16-19, in occasione delle aperture straordinarie dell’Istituto per la Regione Lazio

Per la prima volta, si aprono le porte dell’ex convento di Sant’Alessio alla scultura contemporanea.
La mostra, aperta dal 16 al 29 ottobre, si svolge nel chiostro, luogo sconosciuto alla maggior parte degli stessi abitanti di Roma.
Durante la mostra si svolgeranno per la RAW, RomeArtWeek, eventi gratuiti, visite guidate dell’istituto e incontri con artisti e curatrice.

L’evento, volutamente ‘territoriale’, in quanto organizzata da Istituzioni / artisti e curatrice abitanti all’Aventino, vuole promuovere l’arte contemporanea su questo Colle storico di Roma con l’esposizione di sculture / istallazioni site-specific per il luogo che li ospita.

Durante la mostra si svolgono per la RAW, RomeArtWeek, i seguenti eventi gratuiti, visite guidate dell’istituto e  incontri con artisti e curatrice.

Lunedì 21

Ore 9-14 CLAUSTROMANIA, scultura contemporanea nel chiostro di Sant’Alessio.
Incontro con gli artisti e/o la curatrice Gallavotti Cavallero.

Martedì 22

Ore 9 – 17 CLAUSTROMANIA, scultura contemporanea nel chiostro di Sant’Alessio. Incontro con gli artisti Martinelli / Monachesi / Santoro / van Wees e/o la curatrice Gallavotti Cavallero.

Ore 11.30 Dibattito OPENBOX, dalla landart al parco scultoreo urbano, a cura di Roberta Melasecca e Mara van Wees. Si discuterà della centralità della scultura, nella natura e nel contesto urbano, del suo ruolo sociale e del potere persuasivo del sitespecific. Interverranno e illustreranno i loro progetti: Lucilla Catania, scultrice e promotrice di “Sculture in Campo”, dove per campo s’intende la campagna arcaica di Bassano in Teverina. Alessandra Scerrato e Francesco Pezzini curatori di “Sala 2” a San Giovanni, dove è presente un giardino di scultura contemporanea nel cuore della città di Roma; Alberto Timossi, scultore ambientale che illustrerà le sue installazioni in contesti estremi; Andreina De Tomassi e Antonio Sorace, promotori della Casa degli Artisti e della Land Art al Furlo che ha festeggiato quest’anno la sua decima edizione. Nell’occasione sarà presentato OPEN BOX, il progetto artistico e culturale di AdA per piazza Albina, che vuole creare uno spazio espositivo temporaneo per sculture e istallazioni e con cui dare ad artisti, la possibilità di esporre le loro opere all’aperto.

Ore 14.30 – 15.30 visite guidate, a cura di Letizia Lanzetta, dell’istituto degli Studi Romani (ex-convento di Sant’Alessio) luogo ispiratore della mostra ClaustroMania.

Ore 15.30 Dibattito Il contemporanea incontra l’antico, CASO o NECESSITA?, a cura di Claudio Strinati e Riccardo Monachesi, invitati Diletta Borroeo e Edoardo Sassi.
La tavola rotonda prende spunto dalla presenza delle sculture in mostra nell’antico chiostro, e intende discutere altri casi in cui antico e contemporaneo si sono trovati accostati, come proposte museali o espositive. Ci si domanda: è una moda, una necessità contingente per attrarre nuovo pubblico o un’autentica urgenza culturale?

Mercoledi 23

Ore 9 – 20 Presentazione del catalogo di CLAUSTROMANIA, scultura contemporanea nel chiostro di Sant’Alessio. Incontro con gli artisti e/o la curatrice Gallavotti Cavallero.

Ore 17-20 Visite guidate dell’Istituto Nazionale Studi Romani in occasione delle aperture straordinarie dell’Istituto per la Regione Lazio. La mostra sarà visibile all’interno dei percorsi organizzati.
Si prega di consultare il sito www.studiromani.it

Giovedì 24 / venerdì 25

Ore 9 – 14 CLAUSTROMANIA, scultura contemporanea nel chiostro di Sant’Alessio. Incontro con gli artisti e/o la curatrice Gallavotti Cavallero

Gaetano Platania

Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Romani

Nell’accogliere positivamente l’invito a partecipare alla Rome Art Week ospitando la mostra ClaustroMania, l’Istituto Nazionale di Studi Romani apre il proprio suggestivo chiostro all’arte contemporanea, nel segno di una innovazione concettuale che, camminando nel solco di una storia di quasi cento anni di vita, non le è tuttavia estranea.

Di certo, nell’immaginario collettivo, anche in quello formato da studiosi e – nel caso di specie – da storici dell’arte, l’Istituto si occupa e si è occupato di passato, foss’esso remoto o prossimo, ma di passato. Eppure sin dal suo nascere l’Ente si è affacciato alla propria contemporaneità, pur se, allora, nel solco di uno spirito oggi a noi lontano e improntato a concezioni ideologiche che la storia ci ha lasciato alla spalle. Ma l’oggi era allora oggetto d’attenzione, come lo è sempre stato.

La rivista «Studi Romani» si è nel tempo inserita nei dibattiti propri della Città e più volte l’attenzione all’arte contemporanea è stata argomento di riflessione, incontro, visite guidate. Oggetto quindi di entrambi gli aspetti che connotano sin dal suo nascere l’Ente. Mi piace ricordare qui un illustre precedente, senza perciò sottrarre peso ad altre iniziative: la mostra Architetture di luce dell’artista Karina Chechik, ospitata nella sede del’ex convento dei Santi Bonifacio e Alessio nell’aprile del 2012.

Allora come ora il legame tra antico e moderno era strettissimo, fortemente materico, caratterizzandosi l’attività dell’artista nella sovrapposizione e rielaborazione di architetture fotografate e riportate su tela con colori ad acrilico, volti a sottolineare in senso funzionale, costruttivo ed iconico il gioco di luce che ogni elemento architettonico comporta.

E il legame antico moderno si stringe fortemente anche nell’occasione che presenta il catalogo in oggetto, vista la capacità degli artisti di aver legato le singole opere alla storia del Santo eponimo e a questo convento a lui dedicato, documentati e rielaborati secondo i canoni della modernità.

Ciò – oltre alla già citata importanza della collaborazione anche con l’Associazione Amici dell’Aventino – in virtù della convinzione che l’Istituto è oggi, ma anche domani.

L’Istituto Nazionale di Studi Romani affronta la conoscenza di Roma in tutti i suoi aspetti (storici, archeologici, artistici, urbanistici, linguistici, sociali, economici ecc.) e in ogni tempo della sua storia millenaria, dall’antico ai nostri giorni. È stato fondato nel 1925. L’Istituto è stato ristrutturato su basi accademiche nel 1951, è iscritto nella tabella delle istituzioni culturali ammesse al contributo ordinario dello Stato. Analogamente all’Accademia dei
Lincei, l’Istituto è costituito da Soci nazionali, onorari, emeriti e corrispondenti scientifici (corpo accademico), ai quali è affidata la ricerca scientifica e di alta divulgazione, strettamente connesse e i cui frutti sono testimoniati dal ricco catalogo delle pubblicazioni. È diretto da un Presidente
(2019: prof. Gaetano Platania) e da una giunta direttiva. Nel 2019, per iniziativa del Presidente, l’Istituto Nazionale di Studi Romani, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Roma, Roma Capitale e la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali Roma Capitale, ha bandito il premio “Per Roma”, rivolto a giovani artisti

Alessandro Olivieri

Presidente dell’Associazione Amici dell’Aventino

L’amore per l’arte, per la cultura e per i luoghi che si abitano sono i motori che hanno alimentato il complesso processo organizzativo e relazionale che ha dato vita a Claustromania, una mostra inusuale per collocazione e genesi che si inserisce nel solco delle tante iniziative culturali promosse negli anni dall’Associazione Amici dell’Aventino.

La prestigiosa collaborazione offertaci dall’Istituto Nazionale Studi Romani, che qui mi fa piacere ringraziare ancora una volta ufficialmente, nel cui Chiostro (già di Sant’Alessio) è ospitato l’evento, ha consentito di inserire questa mostra nella più ampia manifestazione di Rome Art Week, il che ci conferma autorevolmente accreditati tra gli operatori culturali della Città.

Una caratteristica peculiare di questa mostra, che mi piace svelare con orgoglio, sta nel fatto che tutti gli artisti che espongono hanno un legame forte con l’Aventino, così come lo hanno gli organizzatori e la curatrice. Un “fatto in casa” di altissimo livello che dimostra, ove ve ne fosse stata la necessità, a quali risorse umane e culturali può attingere l’Associazione Amici dell’Aventino per promuovere la qualità del vivere nel Rione.

La nostra Associazione ritrova, in attività come questa, un forte legame con i suoi valori fondativi, allora principalmente concentrati sullo sviluppo di iniziative sul territorio che contribuissero a tenere vivo il patrimonio archeologico, artistico, spirituale e culturale che permea ogni angolo della struttura urbanistica e paesaggistica del nostro Colle.

Non solo, quindi, l’interesse per i problemi di “logistica” sociale, seppure importantissimi, quali la sicurezza, la cura del verde, il decoro urbano, la pulizia, la regolamentazione del traffico o il miglioramento del sistema dei trasporti pubblici, ma anche iniziative aperte alla città, con cui dialogare ed alla quale offrire un po’ dei nostri “saperi”, della nostra creatività e del nostro “stile di vita” in comunità.

Una comunità aperta, consapevole di vivere il “privilegio” di un habitat unico al mondo, che porta su di sé la responsabilità di costituire il primo presidio attivo per la tutela di queste condizioni irripetibili di coesistenza tra un paesaggio naturale armonioso, stratificazioni di lasciti architettonici, spirituali, artistici, culturali ed un tessuto sociale contemporaneo e vitale.Il concetto che meglio definisce l’atteggiamento che noi associati adottiamo nei confronti del nostro Colle è quello di custodia: in qualità di abitanti, pro tempore, sentiamo l’obbligo, civile e morale, di preservare nel loro valore i beni comuni, materiali e immateriali, che ci circondano. Non con la volontà di chiuderci in una protezione esclusivistica, ma con la generosità di condividere e partecipare il bello e l’unicità che abbiamo intorno a noi perché sia di tutti coloro che sanno apprezzarlo, rispettarlo e renderlo partecipe dell’elaborazione di nuovo sapere nel nostro tempo.Con gioia offriamo a tutti voi il piacere e l’esclusività dei luoghi, il valore della storia, lo spessore dell’arte e della creatività unite alla vitalità delle relazioni sempre nuove che nascono negli incontri favoriti da occasioni così speciali.

L’Associazione Amici dell’Aventino, fondata nel 1981, è stata, negli anni, promotrice di concerti, convegni, presentazioni di libri e organizzatrice di mostre d’arte contemporanea, tra le
quali si segnala, nella propria sede, presso la basilica dei Santi Bonifacio e Alessio, ‘In Crypta’, ripetuta poi a Todi e Grottaglie. Uno dei progetti “work in progress” di AdA è ‘Open Box’* su piazza Albina, giardino che è stato preso in affidamento dal Servizio Giardini del Comune di Roma da AdA. Il progetto vuole creare uno spazio espositivo temporaneo per sculture e installazioni e dare la possibilità ad artisti di esporre le loro opere all’aperto.

Forme di creta e di metallo

di Daniela Gallavotti Cavallero

Il chiostro dei Santi Bonifacio e Alessio è un luogo segreto e silenzioso.

È uno spazio antico, chiuso su tutti i lati dagli edifici conventuali, scandito da alberi di arancio e da un pozzo al centro.

Giovanna Martinelli, Riccardo Monachesi, Ninì Santoro e Mara van Wees hanno percorso il chiostro, lo hanno misurato, hanno letto le lapidi antiche sulle pareti fino a entrare in simbiosi con lo spazio e la storia che vi si respira.

Ne è nata ClaustroMania, un termine che non deve condurre all’ambito patologico, ma a pensare una condizione umana protetta, come è stata, soprattutto nei secoli passati, la volontaria reclusione dei monaci nei conventi, per dedicarsi allo studio, alla preghiera e alla contemplazione.

E come è stata volontariamente isolata e reclusa, anche, una parte della vita di sant’Alessio.
Attorno alla sua figura si è costituita una narrazione leggendaria, per molti aspetti comune ad altri santi dei primi secoli del cristianesimo.

Di discendenza patrizia, alla vigilia delle nozze Alessio si allontanò per recarsi a Edessa, dove distribuì i suoi averi e visse da mendicante predicando.

Ritornato a Roma, dove i familiari non lo riconobbero, trascorse il resto della vita sotto una scala della dimora di famiglia, confinato fino alla morte dalla sua scelta di povertà. Lui stesso avrebbe lasciato scritte le proprie vicende in un foglietto rinvenuto fra le sue mani.

Le sante avventure di Alessio sono diventate la Chanson de saint’Alexis in una serie di poemi medievali, nell’undicesimo secolo sono state illustrate a fresco nella basilica inferiore di San Clemente a Roma, sono il soggetto del Sant’Alessio, dramma musicale barocco di Giulio Rospigliosi nel 1631 e sono, ora, il tema intorno a cui hanno composto le loro opere i quattro artisti che espongono nel chiostro.

Riccardo Monachesi ha individuato i temi del viaggio e dell’elemosina: le conchiglie di san Giacomo che rendono riconoscibile il pellegrino e gli servono per dissetarsi, dove la creta si fa materia organica, tutte simili ma nessuna uguale all’altra.

L’artista spiega così il suo lavoro: “La conchiglia è, insieme a diversi significati “pagani”, il simbolo del pellegrinaggio e di una scelta di vita caratterizzata dalle elemosine”.

Alle conchiglie si aggiunge una sequenza di ciotole, disposte a intervalli regolari, ma libere nella forma morbida e casuale, a scandire il tempo lungo e lento degli anni trascorsi da Alessio pellegrino e poi mendicante sotto la scala di casa.

Alcune conservano tracce d’oro, delle monete ricevute in elemosina, che il santo divideva con altri compagni di povertà.

La narrazione del viaggio, del tempo ben si situa in uno dei percorsi creativi più felici di Riccardo Monachesi, quello che conduce alla sequenza seriale.

Forse originata nella rigorosa pratica grafica dell’architetto, subito sconfessata dal gesto delle mani nella materia, per plasmarla e colorarla, in forme e macchie imprevedibili.

Un altro elemento, simbolico e reale, che caratterizza il pellegrino sono i passi, impressi nella creta come orme d’oro e d’argento. Passi preziosi, in questo luogo evocativi di un itinerario di santità. E non si può non pensare ai piccoli ex voto di marmo di età romana con su incise impronte di piedi, come quelle del Domine quo vadis e dei musei Capitolini.

Mara van Wees ha privilegiato il tema della scala. Un’iconografia che le è congeniale, che ha fatto la sua comparsa nella mostra In Crypta (2013), e che sembra contenere l’essenza dei suoi temi recenti, il rapporto pieno vuoto, la permeabilità della materia, il movimento.

Le sue scale sono irregolari e malferme, fatte di frammenti sovrapposti, e sovrapponibili all’infinito, rese mobili anche dai passaggi della luce sulle superfici.

Anche i prismi metallici intitolati a Caio Cestio possono essere composti a formare una scala, solo apparentemente più stabile, perché gli elementi di partenza sono figure geometriche semplici, la circonferenza e il triangolo equilatero, quest’ultimo omaggio nelle proporzioni al modulo della piramide Cestia.

Se poi, dalle vicende di sant’Alessio si passa all’edificio che ne porta il nome, alcune sculture che hanno come elemento generatore il piano dialogano con il chiostro.

Sono Planimetrie di corti immaginarie. Vengono in mente, nella materia e nei colori delicati, i mingqi, modellini in terracotta di cortili trovati nelle sepolture cinesi della dinastia Han.

Le Corti interagiscono anche con le lapidi marmoree murate alle pareti del chiostro. In questo caso per contrasti, perché sono superfici rotte, come i frammenti lapidei incastonati nel muro, ma nelle quali il piano si solleva in una molteplicità di figure geometriche, piane e solide, moltiplicate dalle partizioni del colore.

Nei grandi ferri di Ninì Santoro e di Giovanna Martinelli il riferimento al santo eponimo e ai suoi luoghi si fa più allusivo, meno percettibile, mediato dal titolo.

Di Ninì Santoro, uno dei protagonisti dell’astrattismo, è esposto il grande Ulisse in ferro e inox – acuto, potente, quasi violento nel suo spalancarsi – una delle figure della serie degli Achei, presentate per la prima volta a Roma nel 1971, nel 1972 alla personale che gli allestì il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, e di seguito in numerosi musei e gallerie del mondo.

“Questa volta, l’accerchiamento previsto in origine dall’artista resta virtuale e lo spazio creato e delimitato dagli assi metallici – cambiando essi stessi di materia e di direzione – rimane aperto, concettuale, come è definito dall’insieme di bracci alzati o di aste saldate tra loro alla base e che si distaccano su diversi piani”
(Jacques Lassaigne, 1972).

La scultura celebra il capostipite dei personaggi la cui vicenda narrativa è incentrata sul viaggio. E Alessio è un Ulisse cristiano, assonante anche nel nome.
I due Templari, di una serie di undici esposti per la prima volta nel 1974 (Galleria Editalia, Qui arte contemporanea, presentata da Giulio Carlo Argan), alludono qui al vicino complesso del Priorato. Sono il Gran Maestro Jacques de Morleais, giustiziato per ordine di Filippo IV di Francia, e il sodale Montfleury.

Come scrive lo stesso Ninì Santoro in una lettera a Stefano Gallo pubblicata nel 2014: “I Templari sono rappresentati con un misto di curve e linee ma a differenza degli eroi hanno una consistenza più umana, quindi corposità che è trasparente, per non rendersi tra l’umano e il presuntuoso designato dal Signore ad interprete della verità”.

Nelle opere metalliche di Giovanna Martinelli si percepisce la matrice grafica, il segno netto e sottile, come di scrittura trasferita nelle tre dimensioni.

Dove acquista la forza di una struttura architettonica. La scultura L’alleanza origina da un versione piccola (cm. 30, 2009) in cui i due corpi sono lastre uguali di lamiera dipinta in grigio scuro.

Nel modello si percepiva l’intenzione di creare, per chi guardasse girandovi intorno, inaspettate e mutevoli percezioni di luce e ombra. La versione realizzata in grande è come spogliata della materia.

Rimane l’ossatura perimetrale, su cui si concentra lo sguardo e ne ricava una diversa mutevolezza luminosa, questa volta nel divario cromatico dei due elementi. La scultura Phi dichiara nel nome una complessità di significati.

Phi è il numero irrazionale che definisce la sezione aurea, e si traduce in quel rapporto perfetto tra due lati di un rettangolo che è la misura utilizzata dalla natura per costruire la conchiglia del nautilus, da Fidia nel Partenone, e anche dai progettisti della mela di un famoso marchio di computer.

Phi è, dunque, lo strumento per la definizione della forma che racchiude la propria perfezione assoluta, quella da cui è difficile distogliere lo sguardo. Dalla quale, inaspettatamente, Giovanna Martinelli offre una via di fuga, i due frammenti rossi, speculari, attraverso i quali distogliersi all’incantamento del labirinto.

L’Associazione Amici dell’Aventino, fondata nel 1981, è stata, negli anni, promotrice di concerti, convegni, presentazioni di libri e organizzatrice di mostre d’arte contempo-ranea, tra le
quali si segnala, nella propria sede, presso la basilica dei Santi Bonifacio e Alessio, ‘In Crypta’, ripetuta poi a Todi e Grottaglie. Uno dei progetti “work in progress” di AdA è ‘Open Box’* su piazza Albina, giardino che è stato preso in affidamento dal Servizio Giardini del Comune di Roma da AdA. Il progetto vuole creare uno spazio espositivo temporaneo per sculture e installazioni e dare la possibilità ad artisti di esporre le loro opere all’aperto.

Giovanna Martinelli

Giovanna Martinelli nasce a Roma nel 1957 e nel ‘76, prima di dedicarsi alla grafica editoriale e all’arte della stampa apre con la cooperativa Murales l’omonimo club di Jazz a Trastevere. Nell’86/87 frequenta a Parigi l’Atelier 17 di
S.W.Hayter dove si perfeziona nella tecnica di stampa calcografica a colori. La sua è una ricerca sempre tesa a sperimentare nuove forme, avvalendosi ora anche di tecniche diverse come la pittura o la scultura in ferro, bronzo o carta. L’ambiguità illusiva che è motivo ricorrente nelle sue opere viene espressa con materiali e forme diverse ma sempre con un‘unica struttura linguistica. L’interpretazione razionale ed antiromantica del fatto estetico e un marcato senso della sintesi potrebbero essere la definizione del suo lavoro, dovuto anche ad anni di esperienza nell’esercizio grafico. Un altro approccio può essere ravvisato nella disposizione psicologico/visiva di accostare la realtà, che potrebbe dirsi di “ambiguità percettiva”. Altro aspetto importante è una chiara valenza architettonica delle forme: tanto nei fogli incisi (attitudine ravvisabile sotto forma di piante/sezioni tutte immaginarie, ovvero di planimetrie di altrettanto fantastici labirinti), quanto in bassorilievi e in piccole sculture. La stessa immagine del mitico Labirinto, sempre espressa nella dimensione del costruttivo, non evoca l’idea del caos e dello smarrimento dell’orientamento e della coscienza, quanto invece
il percorso verso ulteriori conoscenze. Fa parte di un’associazione di scultori ungherese “ La fonderia” con sede in Pecs e dell’associazione “I diagonali” di Roma che con la Galleria Arte e Pensieri documenta e promuove la ricerca d’arte, con particolare attenzione all’arte astratta.

Riccardo Monachesi

Riccardo Monachesi nasce a Roma nel 1954, luogo in cui tutt’ora vive e lavora e nel 1977 inizia a frequentare i corsi del Maestro Nino Caruso ai Coronari. Nel 1980 si laurea in Architettura, scoprendo di non essere tentato dal Design, ma realizzando che l’unica possibilità nel fare Arte sia “Progettare l’Emozione”, principio che da allora mette nei propri lavori. Dal 1981 inizia la sua carriera espositiva in Italia e all’estero con una mostra curata da Paolo Portoghesi. Seguono una nutrita serie di esposizioni personali e collettive tra le quali: “Omenoni” nel 1994 realizzata per lo Studio Bocchi e presentata da Walter Veltroni nella quale la Ceramica viene “sdoganata” quale materia legata al mondo dell’artigianato per ritornare materia d’Arte, nel 2009 l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna cura una personale ed un’altra nel 2014 “TerraeMota” per il Comune di Roma presso il Museo delle Mura. Nel 2015 una collettiva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna definisce lo stato della Scultura in Ceramica nel XXI secolo, nel 2017 il Museo della Ceramica di Viterbo, in occasione dei 40 anni di attività organizza una personale curata da Francesco Paolo del Re ed infine nel 2019 l’Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Spagna in Italia lo invita a Messina presso il Museo MACHO all’interno del programma annuale “La Cultura è Capitale”. Nel 2011 la Galleria Nazionale di Arte Moderna acquisisce e colloca presso il Museo Boncompagni Ludovisi 20 ceramiche realizzate a 4 mani con Elisa Montessori.

Pasquale Ninì Santoro

Pasquale Ninì Santoro, nato a Ferrandina nel 1933, è uno dei protagonisti dell’astrattismo italiano. Scultore, pittore, incisore e ceramista vive e lavora a Roma. Vicino a Giulio Carlo Argan e a Giuseppe Ungaretti, alla fine degli anni ’50 si trasferisce a Parigi dove frequenta l’Atelier 17 di Stanley William Hayter. Tornato a Roma, nel 1962 è fondatore, con Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Uncini, del Gruppo Uno, che propone il superamento delle correnti informali con ricerche aperte e sistematiche sulle componenti linguistiche del fare arte. Sono anni di lavoro intenso che lo vedono impegnato in una ricerca formale sempre supportata da istanze sociali e politiche. Gli anni Settanta lo vedono all’opera, a fianco di Carlo Bertelli, presso l’Istituto nazionale per la grafica, istituito nel 1975. Partecipa a importanti mostre internazionali: tra queste la Biennale di Venezia del ’62, la VII Biennale d’Arte moderna di San Paolo del Brasile nel ’63, l’International biennial exhibition of prints di Tokyo nel ’64, e nel 1967 la V Biennale di Parigi. In Italia prende parte a numerose esposizioni, tra queste sono significative quelle curate da Nello Ponente, Maurizio Calvesi, Palma Bucarelli che gli commissiona la scultura La foresta pietrificata per la Galleria nazionale d’arte moderna. Nel 2011 riceve da Giorgio Napolitano il Premio nazionale “Presidente della Repubblica” per le arti, nel 2013 diviene Accademico di San Luca. Nel 2014 l’Istituto Italiano per la Grafica gli dedica una personale sul suo lavoro di incisore dagli esordi ad oggi presso Palazzo Poli e realizza due grandi sculture per il comune di Vaccarizo (CS) “Monumento a Scanderbeg” e per Villapiana.
(Cs) “La Justitia”. Partecipa inoltre alla grande mostra su Pasolini a Palazzo Lanfranchi di Matera con dieci sculture.

Mara van Wees

Mara van Wees Nata in Olanda, spirito olandese nelle origini e nella formazione, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Rotterdam, l’artista si immerge nella cultura rinascimentale del soggiorno fiorentino per trasmigrare poi a lungo nella chiarità luminosa di Capri e approdare infine a Roma, dove oggi si divide tra l’attività nella Capitale e quella fruttuosa e matura nel lembo di Maremma tra Vulci e la Toscana. Nel suo lavoro è sempre leggibile l’impronta coerente e consapevole di ogni passaggio vissuto ed elaborato: la fiducia nel rigore formale e geometrico del primo De Stijl, la suggestione neoplastica che Van Wees scioglie in una rottura poetica di linee ortogonali che restano però, dopo la decostruzione, ancora classiche, cinquecentesche per ritmo e tensione, votate al dialogo con la luce e con lo spazio indefinibile del respiro naturale delle cose (dal testo di Francesco Castellani). Dopo un percorso di narrazioni intimistiche di piccole sculture, predilige le installazioni sitespecific e a tema, in dialettica con siti archeologici, architettonici e paesaggistici. Ha partecipato a varie mostre istituzionali in musei, parchi archeologici come Vulci , LandArt al Furlo, ST Stephen Cultural Center Foundation e alla giornata Amaci. Ha collaborato con il MibacPuglia per un progetto e bando Europeo. Negli ultimi anni sviluppa progetti di land art di grandi dimensioni e con materiali trovati in loco. Nel 2018 realizza una scultura pubblica sul lungomare di Montalto di Castro. Vive e lavora tra Roma e la Maremma.

Rassegna Stampa

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